Le testimonianze dalla prima linea dei soccorsi in Mesolcina e Valle Maggia. I responsabili operativi del Servizio Ambulanza Moesano e del Servizio Ambulanza Locarnese e Valli raccontano dei tragici eventi accaduti nelle loro regioni e delle numerose e complesse sfide operative che hanno dovuto affrontare in quelle giornate
Le torrenziali piogge che hanno colpito lo scorso giugno la Mesolcina e la Valle Maggia hanno causato 11 morti e 2 dispersi (al momento attuale) oltre a una serie di eventi devastanti, tra cui esondazioni, frane e il crollo di ponti, sommergendo intere abitazioni e aree sotto acqua e fango. Le comunità locali della Mesolcina e dell’intero Canton Ticino sono state profondamente segnate da queste calamità. Le ferite emotive lasciate da questi eventi saranno difficili da sanare. Oltre alla perdita materiale, chi è stato coinvolto dovrà affrontare la difficile sfida di ricostruire non solo le proprie case, ma anche il proprio futuro. Abbiamo raccolto le testimonianze di Nives Grassi, Capo Servizio del Servizio Ambulanza Moesano, e Michel Ceschi, Direttore operativo del Servizio Ambulanza Locarnese e Valli, che hanno lavorato senza sosta, insieme a tutti gli enti di primo intervento, per far fronte a questa emergenza, operando con coraggio e dedizione in condizioni estremamente difficili.
Signora Grassi, signor Ceschi, come avete vissuto i primi momenti dell’alluvione nella vostra regione e quali strategie avete messo in atto per gestire una situazione così critica e in rapida evoluzione?
Nives Grassi (NG): Il 21 giugno tra le 18:00 e le 20:00 si è formata una grossa cellula temporalesca. Quella sera ero di turno e, allo stesso tempo, si svolgeva l’inaugurazione della nuova caserma dei pompieri di Roveredo, dove ero stata invitata. Ad un certo punto ha iniziato a piovere forte. L’allarme dalla Centrale di soccorso 144 arriva alle 19:45 e già dalla voce dell’operatrice ho intuito che fosse successo qualcosa di grave. Da Sorte erano arrivate segnalazioni da cittadini che riferivano di frane, fiumi che esondavano, case e auto danneggiate e di un possibile coinvolgimento di un autobus. Parto con l’ambulanza verso Lostallo, decidendo di prendere l’autostrada, che mi sembrava più sicura rispetto alla strada cantonale. Lungo il percorso, la pioggia continuava a essere molto intensa, la visibilità scarsa e grossi rami iniziavano a cadere sulla strada. Ma, uscendo dall’autostrada a Lostallo, mi sono chiesta: “Nives, dove stai andando?”. A quel punto, ho deciso di fermarmi e aspettare informazioni più precise, per evitare di andare incontro a qualche pericolo. Stessa cosa lo hanno fatto i 5 medici della Valle che, da me allarmati, sono sopraggiunti a Lostallo. Per fortuna ho preso questa decisione, perché poco dopo ho saputo di un’auto della polizia sommersa dall’acqua e i due agenti a bordo che hanno rischiato la vita. Anche un furgone dei pompieri, che transitava sulla strada cantonale, ha rischiato di essere travolto dall’acqua ma per fortuna la prontezza del pompiere nel girare il furgone ha evitato il peggio. È stato quindi confermato il Dispositivo Incidente Maggiore alla Centrale 144 e di conseguenza altre ambulanze provenienti dal Ticino si stavano dirigendo verso la nostra sede a Roveredo, quale punto di raccolta dei soccorritori. Quale prima misura urgente, abbiamo aperto la sala polivalente nella nostra sede di Roveredo per accogliere i primi sfollati. In collaborazione con i pompieri e la REGA, abbiamo evacuato una quindicina di persone. È stata pure aperta la palestra di Lostallo, dove erano presenti due medici per effettuare il triage delle persone sfollate. Alle ore 21.00 è stato convocato e costituito lo Stato Maggiore Regionale di Condotta a Roveredo. Subito sono emersi diversi elementi preoccupanti: c’erano dei dispersi, l’autostrada N13 era interrotta a nord di Lostallo, poco prima di Mesocco c’erano altre due interruzioni e la Val Calanca risultava isolata all’altezza di Buseno. Inoltre, sapevamo che in diverse località mancava la corrente elettrica. Alle 23:00, durante il secondo rapporto dello Stato Maggiore, si è avuta una situazione un po’ più chiara. Il bilancio era di almeno cinque persone disperse. E’ stato pertanto attivato il Care Team Ticino.
Michel Ceschi (MC): Era la notte tra il 29 e il 30 giugno, pioveva molto forte. Meteo Suisse aveva emesso un allarme di grado quattro per forti piogge per alcune regioni del Locarnese. Intorno alle 01:30 del 30 giugno, è arrivato l’allarme per un’emergenza in alta Valle Maggia, con segnalazioni di esondazioni, frane, persone disperse e il crollo del ponte di Visletto. Immediatamente è stato attivato lo Stato maggiore dalla polizia cantonale e, per i servizi ambulanza cantonali, il Dispositivo Incidente Maggiore (DIM). In questo contesto, erano rappresentati tutti gli enti di primo intervento: Polizia, Pompieri, Servizi Ambulanza e Rega, poi la Protezione Civile, il SAS (Soccorso Alpino Svizzero), i servizi del Cantone quale Acqua e Suolo (SPAAS - Sezione Protezione Aria Acqua Suolo), Sezione forestale, Geologo, Società elettrica e l’Esercito. Dal resto del Cantone sono state mobilitate cinque ambulanze, posizionate presso la sede del SALVA e ai Ronchini di Aurigeno, punto di raccolta per le persone evacuate dall’alta Valle Maggia con l’elicottero. Anche il Care Team Ticino era presente ad Aurigeno. In mattinata abbiamo subito avuto una riunione con lo Stato maggiore, dove mi è stato confermato che c’erano già due deceduti e un disperso. C’era preoccupazione perché si temeva che il numero dei dispersi potesse aumentare. In quelle prime ore, il grande problema era la mancanza di informazioni: non era possibile comunicare con l’alta Valle Maggia, tutte le linee telefoniche erano fuori uso, così come la linea elettrica e la fibra ottica, poiché tutti i collegamenti passavano attraverso il ponte di Visletto.
Qual è stato il bilancio complessivo delle vittime e dei danni causati dall’emergenza? Quali gli interventi più significativi che avete dovuto coordinare?
NG: Abbiamo avuto complessivamente tre morti e al momento c’è ancora un disperso. Durante la notte dell’alluvione, abbiamo effettuato un intervento a Mesocco per una grave reazione allergica, ma raggiungere quel luogo con l’ambulanza era impossibile. Sono stati quindi attivati colleghi professionisti quali First Responder e in seguito allertata la Rega per il trasferimento in ospedale. Poco prima delle 05:00, la polizia ha ricevuto una chiamata d’allarme da una signora che era sopravvissuta alla frana e riusciva a vedere il cielo attraverso le macerie. Siamo intervenuti immediatamente con un’ambulanza, la polizia, la colonna di soccorso e i cani di ricerca, e siamo riusciti a trovare questa persona abbastanza rapidamente e trasportarla all’Ospedale Civico di Lugano tramite ambulanza perché l’elicottero non era disponibile. Era in stato di ipotermia e presentava diverse contusioni, ma la gioia di aver trovato viva una persona sotto le macerie era indescrivibile. In seguito, abbiamo organizzato un supporto psicologico, in collaborazione con il Care Team Ticino e la Fondazione Ticino Cuore, presso la nostra sede di Roveredo. Abbiamo incontrato diversi abitanti di Sorte e Lostallo che, nei giorni successivi all’evento, avevano ancora negli occhi le immagini della tragedia. Alcuni non avevano più il coraggio di rientrare nella propria casa. Anche nel nostro territorio il grande problema era la mancanza di corrente elettrica e l’interruzione delle linee telefoniche. Non riuscivamo a comunicare con i nostri colleghi soccorritori al proprio domicilio. Abbiamo dovuto identificare, unitamente allo Spitex e medici curanti le persone fragili da evacuare dalle loro case. Anche se alcune abitazioni non erano direttamente coinvolte dalla frana, l’assenza di corrente e dell’acqua potabile erano un problema serio: alcune persone necessitavano di apparecchiature mediche e medicamenti. Inoltre, c’erano anziani debilitati da assistere. È stata quindi predisposta l’evacuazione di queste persone il giorno successivo in ambulanza e assistito una donna in gravidanza, ormai prossima al parto, poiché non poteva rimanere a casa in quelle condizioni. Abbiamo organizzato, in collaborazione con i medici, la distribuzione di farmaci tramite elicottero militare per coloro che, trovandosi in visita da parenti, non avevano con sé la terapia quotidiana. In sede ambulanza, abbiamo accolto per diversi giorni il ragazzo di 17 anni e la ragazza di 26 anni dei genitori scomparsi, in attesa di notizie e per un sostegno emotivo.
MC: Al momento il bilancio è di otto vittime e una persona è ancora dispersa. Purtroppo in alcune zone, le frane hanno causato l’accumulo di enormi quantità di detriti che ricoprono intere aree. È possibile che questa persona si trovi sotto uno di questi grossi accumuli. Inoltre, probabilmente molto materiale non verrà mai rimosso. La questione dei dispersi è stata una grande preoccupazione. È stato necessario un lavoro significativo, una sorta di censimento, per definirne il numero esatto. Gli abitanti della zona erano noti, ma ci sono moltissime case di vacanza e persone che potevano trovarsi lì solo per visitare amici. Sono state trovate auto di persone della Svizzera interna, ma i proprietari non identificati immediatamente. A Peccia, era in corso la festa del torneo di calcio presso il campo sportivo. Inizialmente avevamo l’informazione che erano presenti circa 300 persone, bloccate ma al sicuro. Poi dal crollo del ponte ogni comunicazione si è interrotta. Sono state evacuate nella giornata di domenica con elicotteri privati e dell’esercito e portate tutte ad Aurigeno. Paradossalmente, nonostante le otto vittime non abbiamo dovuto fare interventi particolari. Con il senno di poi, si potrebbe dire che il dispositivo di emergenza sanitaria era sovradimensionato, ma ciò era dovuto alla mancanza di informazioni a causa dell’impossibilità di comunicare. E in questa circostanza è meglio avere dei dispositivi importanti e non utilizzati piuttosto che lasciarsi prendere alla sprovvista.
Come valuta la risposta degli enti di emergenza? Secondo lei, ci sono margini di miglioramento?
NG: Direi che, pur nella tragedia, è andato tutto abbastanza bene. Per tutti gli enti di primo intervento, la priorità è sempre la propria sicurezza. Non possiamo mettere a rischio noi stessi e le risorse disponibili senza essere certi della situazione che si va ad affrontare. C’è sempre l’istinto di correre subito quando c’è un allarme, ma l’esperienza insegna che a volte è necessario fare un passo indietro e riflettere. Come possiamo salvare gli altri se prima non mettiamo al sicuro noi stessi? E poi, cosa si può fare inizialmente in mezzo ad una frana? È un fenomeno imprevedibile, che può evolvere in modi inaspettati. Quando una frana colpisce una casa, l’area è circoscritta, ma in questo caso l’acqua e le colate di fango potevano nuovamente arrivare da qualsiasi direzione.
Come enti ambulanza avete risorse sufficienti? Oppure sarebbe utile avere più equipaggi e risorse specializzate per questo genere di interventi?
MC: Il nostro Dispositivo di Incidente Maggiore, quando è pienamente operativo, con tutte le sue risorse al massimo della potenzialità, può gestire fino a un centinaio di pazienti. Se si supera questo numero, si entra in una situazione di catastrofe ed è necessario richiedere l’impiego di altre forze. Attualmente, in Ticino, siamo ben organizzati, ma richiedere ulteriori risorse è molto difficile, in quanto il mercato del lavoro offre meno soccorritori diplomati rispetto a quelli realmente necessari. Tutti gli enti di soccorso sono alla ricerca di soccorritori diplomati e si stima che, attualmente, manchino circa 300 soccorritori qualificati in tutta la Svizzera. A livello ticinese, la Scuola Infermieri forma i soccorritori diplomati, e c’è anche un progetto, denominato DIAS, gestito dall’AMUT (Accademia Ticinese di Medicina d’Urgenza) e in collaborazione con la SSSCI (Scuola Superiore Specializzata in Cure Infermieristiche), che prevede l’assunzione di infermieri e offre loro un percorso formativo per diventare soccorritori diplomati. Questa iniziativa è stata sviluppata per affrontare la carenza di soccorritori a lungo termine. Devo sottolineare che, in caso di emergenza, quando c’è veramente una necessità i soccorritori rispondono e si mettono a disposizione. Ringrazio di cuore tutti i colleghi soccorritori per la disponibilità che mostrano in quei momenti, indipendentemente dall’ora o dal giorno, come è successo in questo caso, alla una o alle due di mattina.
La maggior parte delle vittime nell’alta Valle Maggia erano persone in vacanza. Crede che la loro mancanza di familiarità con il territorio possa aver contribuito a non far percepire appieno i rischi legati a queste condizioni estreme?
MC: Sì, è possibile. Dobbiamo considerare che appena dopo l’alluvione alcune persone hanno scelto di non evacuare nonostante le autorità avessero consigliato di abbandonare la zona. Va detto che, in tali situazioni, le autorità non possono costringere qualcuno ad andarsene con la forza, a meno che non ci sia una minaccia concreta e immediata. In questo caso, non c’era un nuovo allarme meteo tale da giustificare un intervento forzato.
Il vostro Servizio Ambulanza era a conoscenza che a Peccia si stava svolgendo una festa con 300 persone. In che modo questa situazione ha influenzato le operazioni di emergenza e il coordinamento dei soccorsi in quella zona?
MC: No, non lo sapevamo. Per quanto ci riguarda, una festa con 300 persone non è una situazione che richiede necessariamente un dispositivo sanitario per garantire la sicurezza. Successivamente, discutendo con due infermiere che erano presenti a questa festa, ci hanno raccontato di aver ricevuto, a un certo punto, un messaggio - non so attraverso quale canale - con l’indicazione di restare lì e non spostarsi. Devo dire, fortunatamente, che questo messaggio è arrivato, e anche loro hanno preso l’iniziativa di far rimanere tutte le persone sul posto. Era una festa quasi familiare, tra amici. Per fortuna non c’è stata una partenza in massa di tutte quelle persone, che altrimenti avrebbero rischiato di trovarsi in mezzo ai torrenti o bloccati dalle frane. Almeno erano al coperto e al sicuro.
Qual è il suo punto di vista rispetto ai cambiamenti climatici che ormai sono evidenti a tutti? Pensa che eventi simili si verificheranno in futuro con maggiore frequenza?
NG: È evidente che ora si dovrà riflettere e agire concretamente, ma chi è cresciuto qui tra le montagne sa che situazioni del genere possono sempre verificarsi. Da ragazzina, ho vissuto l’alluvione del ‘78. Dopo ci sono stati altri eventi, ma di portata minore. Penso che dobbiamo imparare a essere resilienti, accettare ciò che accade e rialzarci. Certamente nel nostro territorio si cerca di fare il possibile per arginare e contenere certi eventi. Abbiamo ingegneri forestali, geologi e uffici tecnici molto presenti. In Val Calanca, ad esempio, è in programma la costruzione di una galleria per evitare le zone a rischio franamenti. Sono già presenti dei bacini di contenimento, che hanno svolto un ruolo importante nel mitigare i danni. Ora si tratta di svuotare questi bacini per mettere nuovamente in sicurezza le abitazioni e valutare quali altri interventi siano necessari alla luce di quanto accaduto. Dieci giorni dopo l’evento abbiamo ricevuto un nuovo allarme meteo e alcune persone sono state evacuate proprio vicino al bacino di contenimento sopra i Piani di Verdabbio, il quale non era ancora completamente vuoto dalle macerie.
MC: Quest’anno è stato particolarmente difficile. Personalmente, vedendo quanto è successo, ti chiedi come, in futuro, qualcuno possa decidere di stabilirsi in questi territori, considerando anche le nuove “zone rosse” che il Cantone decreterà. Viviamo in un luogo meraviglioso e mai ti aspetteresti che possano accadere tragedie simili e la situazione è sicuramente destinata a peggiorare. Una volta si diceva che eventi del genere capitano una volta ogni 30 anni, ma noi ne abbiamo già vissuti due di grandi dimensioni nel giro di una settimana.
Dal vostro vissuto personale, come avete gestito questa esperienza?
NG: È un’esperienza che mi ha fatto riflettere molto e posso dire che sono soddisfatta di come io e gli altri soccorritori abbiamo affrontato incondizionatamente questi eventi. Siamo rimasti lucidi, abbiamo ragionato e valutato attentamente le situazioni, il che è stato fondamentale per non rischiare noi stessi la vita. Inoltre, tutta la valle ha mostrato una grande solidarietà. Alcune persone hanno ospitato famiglie con bambini a casa propria per diversi giorni. Mettendo a disposizione gli spazi della nostra sede ambulanza, ci ha permesso di incontrare e conoscere delle persone eccezionali, in modo particolare i famigliari e i figli della coppia dispersa. È stata un’esperienza molto toccante che nella tragedia ha anche offerto momenti di arricchimento umano.
MC: Una cosa che mi ha colpito particolarmente, nonostante la tragedia, è stata la straordinaria solidarietà e collaborazione che ho visto emergere tra tutti gli enti di primo intervento. Il modo in cui l’evento è stato gestito è stato davvero notevole. Tutti ci siamo supportati a vicenda per portare avanti le nostre missioni. Senza questa coordinazione non si sarebbe riusciti a fare molto, da soli non si va da nessuna parte. L’intervento è stato tempestivo ed efficace, e questo è rassicurante, soprattutto pensando al futuro, perché è probabile che eventi simili potranno ripetersi con una certa frequenza. La solidarietà è una caratteristica distintiva di noi ticinesi, sia in termini concreti, come le donazioni, sia attraverso il supporto dei molti volontari. Sono state oltre trecento le persone che si sono presentate per dare una mano, oltre che alle istituzioni, privati e volontari già presenti in zona. Per molto tempo sono state organizzate manifestazioni per raccogliere fondi destinati alla ricostruzione.
La mancanza di comunicazione in situazioni di crisi
In un’epoca in cui siamo costantemente connessi, la mancanza di rete telefonica crea ad alcuni di noi, già nella quotidianità, disagio e ansia. Figuriamoci l’effetto in eventi drammatici come quelli vissuti nelle nostre valli quest’estate. L’impossibilità di avere notizie da parte di famigliari e amici che si trovano al centro dell’evento crea paura e ha un impatto emotivo estremamente importante. Diversi lo hanno vissuto sulla propria pelle. L’interruzione delle comunicazioni in caso di crisi è un tema dibattuto da anni e che oggi, grazie al nuovo progetto di legge federale sulla protezione della popolazione e sulla protezione civile (LPPC) trova in parte una soluzione. Infatti in tutti i Cantoni a partire dal 2026 i Comuni dovranno predisporre dei punti di raccolta d’urgenza comprensivi di un sistema di comunicazione sicuro (autonomo dal punto di vista energetico e indipendente dalla rete telefonica) che permetta, in caso di crisi, di contattare i numeri d’emergenza. La Sezione del militare e della protezione della popolazione metterà a disposizione radio “sicure” (rete radio Polycom basata su batterie e su antenne autonome dal punto di vista energetico). A titolo d’esempio, il Canton Grigioni ha realizzato delle colonnine (analoghe a quelle che per anni abbiamo visto lungo le autostrade), autosufficienti e che permettono all’utente di collegarsi direttamente con la Centrale d’allarme preposta alla gestione dei servizi di soccorso (117,144 e 118). Il Ticino lascerà ai Comuni definire i punti di emergenza e come quest’ultimi dovranno essere presidiati (potrebbero essere attivati anche solo in caso di evento e piantonati da personale preposto). Il progetto Nazionale, denominato PRU (point de rencontre d’urgence), è un importante tassello che permetterà in caso di black-out elettrico e/o telefonico, di garantire l’allarme ai sistemi di emergenza. Anche la tecnologia telefonica ci sta venendo in aiuto; alcuni modelli di telefoni cellulari di ultima generazione permettono di eseguire chiamate d’allarme via rete satellitare al momento in cui la rete telefonica classica viene a cadere. I diversi sistemi potranno inoltre garantire l’operatività e la comunicazione tra le diverse forze d’intervento in campo.
Foto, a sinistra: l’ambulanza del Servizio Ambulanza Moesano nei pressi di Sorte. A destra l’ambulanza del SALVA di Locarno attraversa la passerella ciclabile rapidamente adattata al traffico d’emergenza nei pressi del ponte di Visletto.